Una vita appartata, estranea a visibilità e platee, eppure intessuta di arte. Per questo è giunto il momento di dare il giusto riconoscimento a un artista vicentino, Bruno Meneguzzo, che ha intessuto la sua vita di umanità e di “segni” sapienti.
L’occasione è offerta da una mostra antologica, “Un’intima armonia”, che sarà aperta a Villa Thiene di Quinto Vicentino, dal 12 al 27 ottobre, curata da Marica Rossi, con il sostegno di BCC Veneta.
L’omaggio a un artista, che ha il valore di una scoperta; certamente postuma, ma non per questo meno significativa.
Bruno Meneguzzo nasce a Caldogno (Vicenza) nel 1923, ultimo di sei fratelli di una famiglia di agricoltori. A 12 anni entra nel convento dei Frati Servi di Maria, a Follina (Treviso); poi al Santuario di Monte Berico di Vicenza, il 5 agosto 1940, sostiene l’esame e diventa postulante. Nel 1940 inizia il noviziato a Isola Vicentina, nel convento di Santa Maria del Cengio, con la vestizione del saio e l’assunzione del nome di fra Ireneo Maria. Un anno dopo emette la prima professione (o voti temporanei).
A Venezia, presso il convento dei Servi di Maria, frequenta il primo anno di Liceo, ma non riesce a dare gli esami semestrali causa l’insorgere di problemi di salute; ritorna a Follina e nel ‘44 un drammatico episodio, durante la Seconda guerra mondiale, lo coinvolge direttamente: soldati tedeschi entrano nel convento, insieme ad altri 11 religiosi e a 3 borghesi, Bruno viene allineato con la faccia rivolta a un muro per la fucilazione. Dopo circa due interminabili ore di pianto e disperazione, è decisa la loro liberazione.
La guerra influenza negativamente la già provata salute fisica e psicologica e il religioso entra in depressione, soffre anche di persistenti e forti mal di testa. Questa situazione lo costringe a sottoporsi a svariate visite mediche specialistiche, ma le cure non sortiscono effetti positivi; di conseguenza Meneguzzo lascia la vita consacrata nel 1946, senza emettere la professione solenne.
A pesare ulteriormente sulla sua fragilità di quel periodo si aggiungono il decesso del padre, la malattia e la morte della madre. Dopo circa un anno, grazie alle cure, riesce ad uscire dalla depressione, anche se forti emicranie periodicamente lo fanno ancora soffrire e sarà così per sempre.
Nell 1948 viene assunto al Genio Civile di Vicenza, Magistrato alle Acque, con l’incarico di disegnatore. La passione per la pittura, che aveva maturato durante gli studi, lo spingono a iscriversi all’Accademia delle Belle Arti di Venezia (1951); consegue il diploma nel ’55. Negli anni Sessanta diventa socio dell’UCAI (Unione Cattolica Artisti Italiani), Associazione con la quale espone alcune delle sue opere in mostre.
Il 6 ottobre 1956 sposa Agnese Saccozza, che abita come lui a Cresole di Caldogno, con la quale avrà due figli Mauro nel 1958 e Michele nel 1961. “Timorato di Dio”, carattere introverso, di poche parole, ama, oltre alla famiglia, le passeggiate, la lettura, la musica classica e i canti gregoriani. Continua costantemente a studiare e a coltivare la sua grande passione per l’arte. Dipinge in casa e a volte anche all’aperto, oli su tele, carboncini, incisioni su zinco, pergamene, disegni; fra i suoi moltissimi lavori predilige i ritratti, alternati a paesaggi, nature morte e soggetti sacri.
Con molta diligenza conserva e ordina le sue opere e raccoglie i molteplici disegni in appositi album, ma non vuole mai vendere nulla, né ama esporre in mostre, alle quali partecipa saltuariamente.
Degna di nota, la selezione per la sua partecipazione al prestigioso “Premio Marzotto” nel 1956.
Una grande passione è anche la fotografia: con la sua Kodak Retinette IIA, scatta negli anni centinaia di immagini in bianco e nero, con una cura ed un’attenzione simile a quella con le quale dipinge. I soggetti sono soprattutto i suoi familiari “ritratti” sin dai primi anni di matrimonio.
Rimane sempre un uomo umile, buono, molto schivo. Più che le parole, sono le sue opere a esprimere i suoi sentimenti, le sue convinzioni e la sua personalità. Finché la mano è ancora ferma e la vista buona, Bruno continua a disegnare su qualsiasi supporto cartaceo, blocchi per appunti, con la matita o con la penna a sfera.
Sempre più indebolito nel fisico, dopo una degenza di pochi giorni in ospedale, Bruno si spegne alle prime ore del 3 gennaio 2016.
“Per Bruno Meneguzzo pittore nella seconda metà del secolo scorso e anche nel nuovo millennio, - scrive Marica Rossi, curatrice della mostra - esistere e dipingere, vissuti in un rapporto di reciproca intimità, sono sempre stati riconducibili a valori autentici, mai derogando da quell’armonia che era il perenne richiamo dell’artista vicentino. Lo si riscontra sia nei ritratti d’un nitore e d’una vivezza d’altri tempi, sia nella soave levità di quei paesaggi, abbazie, nature morte, soggetti sacri, prima contemplati col suo sguardo di poeta e poi diventati bella pittura”.
“È una grande opportunità – continua la curatrice - che si sia reso manifesto l’operato di questo creativo, cui solo adesso ci è dato d’accedere. Se così non fosse, avremmo perduto una lezione di vita esemplare e non solo un’occasione per ammirar dei bei quadri. Un venire alla luce che va ben oltre l’eccezionalità di una tardiva scoperta, perché l’autore è rimasto sconosciuto non a causa di un colpevole oblio da parte dei contemporanei, ma perché lui s’è celato. La ragione è che Bruno Meneguzzo ha tenuto segreto quanto in arte ha prodotto per la sua pervicace propensione per una vita appartata, scegliendo anche nel privato, di chiudersi nel guscio d’una assoluta discrezione. Da questa Antologica per merito di chi ne ha raccolto con affetto e cura le vicende, tralucono la formazione accademica dell’artista e il culto della classicità, come categoria dello spirito e non come strumento
evocativo. Non si tratta di una retrospettiva, e neppure d’una mostra agiografica, bensì della ricostruzione di fatti scelti della biografia che vanno di pari passo con un fare arte che effonde bellezza, bontà e sapere senza alcun infingimento.